A Boris Johnson è bastato un solo round per mettere K.O. tecnico Jeremy Corbyn. Nel dibattito televisivo pre-elettorale, sono emersi, da un lato, una visione economica e geopolitica — condivisibile o meno — chiara e ben articolata; dall’altro le ambiguità, le contraddizioni e l’opportunismo di un euroscettico di retroguardia che voleva la Brexit, ma non così; l’accordo di recesso, ma non questo; e le elezioni, ma non ora.
Il Primo Ministro ha posto al leader dell’opposizione quattro domande sulla Brexit, chiedendogli di chiarire se il leader laburista era in favore di Remain o Leave nel secondo referendum UE che propone di indire; se intende estendere o porre fine alla libera circolazione dall'UE; quanto il leader laburista è disposto a contribuire nel bilancio dell'UE post Brexit in cambio dell'accesso al mercato comune europeo, e quanti dei candidati laburisti concordano con la sua posizione sulla Brexit: rinegoziare un nuovo accordo di recesso per poi rimetterlo ad un referendum popolare. Corbyn ha eluso le risposte nove volte, con ciò esplicitando che un governo laburista precipiterebbe l’UK, già esausta dalla saga Brexit, nel limbo di una perdurante incertezza.
Dal canto suo, Boris ha garantito che le possibilità che l’UK si allontani dall'UE alla fine del 2020 senza un accordo commerciale fatto e firmato sono "assolutamente zero". Il Primo Ministro ha dichiarato che un governo Tory rieletto negozierà un accordo di libero scambio entro 11 mesi dall'uscita dell’UK dall'UE. Secondo il piano, Johnson sottoporrebbe il suo accordo di recesso nei Comuni immediatamente dopo il voto per chiudere la Brexit entro l'attuale scadenza del 31 gennaio. Ciò segnerà l'inizio del periodo transitorio - che si concluderà alla fine del 2020 - in cui Londra continuerà a seguire le regole comunitarie mentre si svolgeranno i negoziati su un accordo commerciale.
Ultima tra i contendenti, Jo Swinson ha infine presentato il manifesto dei liberaldemocratici per le elezioni generali. Nelle 96 pagine del programma trovano posto più assistenza gratuita per i bambini, più soldi per 20.000 nuovi insegnanti nelle scuole primarie e secondarie, più investimenti negli ospedali, più azioni contro il cambiamento climatico e la liberalizzazione della marijuana. Ma quando si parla di Swinson, tutte le strade portano a Brexit. I LibDem si presentano alle elezioni con un’unica idea politica: revocare la Brexit. Swindon ha spiegato che il suo progetto per l’UK era "un piano audace per costruire un futuro più luminoso, che inizia con la revoca di Brexit". Ha poi aggiunto: "Il laburisti e i conservatori non possono offrire al paese un futuro migliore perché entrambi vogliono la Brexit. Sappiamo che sarà un male per la nostra economia, un male per il nostro NHS (il servizio sanitario nazionale) e un male per il nostro ambiente".
Swindon ha anche illustrato un "bonus Remain" di 50 miliardi di sterline per le finanze pubbliche, asserendo che l'economia britannica sarà più grande dell'1,9 per cento entro il 2024-25 se il suo partito dovesse vincere le elezioni e scongiurare l’accordo Johnson.
Nel frattempo, i dati economici continuano a raccontare una loro storia. Gli investimenti di venture capital nel settore tech britannico sono più che raddoppiati dal voto Brexit, raggiungendo al Q3 2019 il livello record di 11 miliardi di dollari (9 miliardi di sterline), mantenendo Londra al primo posto in Europa. I dati elaborati da Atomico mostrano che l’UK ha mantenuto il suo posto al vertice della classifica continentale, nonostante i paventati timori di Brexodus. Il rapporto Atomico rivela che l’UK attira ancora il maggior volume di venture money in Europa, con investitori americani, indiani, israeliani e fondi istituzionali europei, questi ultimi in cerca di diversificazione dal rischio euro ed esposizione a classi di attivi scarse in UE, disposti a finanziare imprese tecnologiche ad alto rischio e ad alto rendimento.
I sondaggi quotano ora i Tory al 42% con 17 punti di vantaggio sul Labour, i LibDem inchiodati al 15% e il Brexit Party di Nigel Farage precipitato al 4%. L’impressione è che il Regno Unito appaia più diviso sulla stampa di quanto non sarà alle urne.
Redazione Italia Atlantica
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