La situazione determinatasi a seguito dell’offensiva turca nelle aree controllate dai Curdi al confine siriano rischia di diventare incendiaria e di destabilizzare ulteriormente l’intera regione.
L’obiettivo dichiarato del Presidente turco Erdogan è quello di allontanare i curdi siriani e determinare una safe-zone al confine con la Siria per rimpatriare i profughi che durante il conflitto sono fuggiti in Turchia, ma questa operazione sta passando per una serie di cruenti attacchi nelle aree sotto il controllo curdo, incluse zone civili quale Qamishli, ad opera delle milizie turche e dei sunniti filo-turchi dell’Esercito Siriano Libero.
Come noto, questa operazione è stata resa possibile, tatticamente e diplomaticamente, dalla decisione assunta dal Presidente U.S.A. Donald Trump di ritirare il contingente americano, circa 100 uomini, dal confine turco-siriano.
Al momento non è dato sapere quale sia stato il contenuto della telefonata tra Trump e Erdogan che ha determinato il via libera al ritiro del contingente americano dall’area, ma questa ha già aperto un nuovo fronte di forti polemiche nei confronti del Tycoon, da parte dell’opinione pubblica, dell’opposizione democratica, ma anche all’interno degli stessi Repubblicani.
Se sembra debole l’ipotesi che questa decisione rappresenti una mano tesa ad Ankara per tentare di recidere il rapporto privilegiato con Mosca e Teheran, non sufficiente è la ricostruzione secondo cui abbia prevalso la volontà di privilegiare il mantenimento dei rapporti commerciali con la Turchia. Non bisogna infatti dimenticare come la partecipazione di Ankara al programma sui caccia di nuova generazione della Lockeed Martin sia già stata bloccata dal Congresso a causa della decisione della Turchia di acquistare i sistemi anti aerei dalla Russia.
È invece più probabile che abbia pesato sulla decisione l’avvio dell’anno elettorale che porterà alle elezioni del 2020. Il ritiro del contingente americano dalla Siria era stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale che portò all’elezione di Trump così come il disimpegno da tutti quei teatri considerati non strettamente strategici. E questa visione rappresenta un elemento di contrasto anche all’interno dello stesso partito Repubblicano, con l’area neocon, con le forti critiche ad esempio da parte del senatore Mitt Romney, e forse anche con il Pentagono, che per bocca del Segretario alla Difesa Mark Esper ha chiesto ad Ankara di fermare l’offensiva pena gravi conseguenze e dichiara di voler dispiegare ulteriori 3000 soldati in Arabia Saudita pronti a rispondere ad ogni eventuale crisi e a difendere gli interessi americani nella regione.
È comunque innegabile come questa scelta del Potus presenti diversi aspetti molto delicati.
In primo luogo va sottolineato come i curdi del Pyp, oggetto degli attacchi turchi, siano parte della Syrian Democratic Forces, l’alleanza che su iniziativa dell’allora Presidente deli U.S.A. Barack Obama fu realizzata dal generale Allen per combattere le forze del Califfato. L’abbandono dei curdi da parte dell’Amministrazione Trump, oltre che esporre gli U.S.A. alle critiche per il voltafaccia operato, rischiano di ridare fiato proprio alle forze del sedicente Stato Islamico ancora presenti in Siria. E l’Isis ha infatti già rivendicato un attentato con un’autobomba nella città di Qamishli. Senza dimenticare i combattenti dell’Isis attualmente prigionieri nei campi curdi che potrebbero approfittare della situazione per fuggire.
L’offensiva turca rischia inoltre di destabilizzare l’intera regione. Bisognerà verificare, in primo luogo, la posizione di Damasco. Se non è dato pensare ad un intervento diretto, è possibile pensare che Assad possa trovare intese proprio con i curdi del Pyp, una volta abbandonati dagli U.S.A., per consolidare la propria posizione nel nord-est siriano. Bisognerà inoltre verificare la Posizione di Teheran, alleata di Assad e della Russia, con convergenze passate con le posizioni di Erdogan ma che non può concedere troppo spazio all’offensiva turca, e che deve guardarsi dai rischi di ritorsione interna da parte di una ampia comunità curda. Senza dimenticare l’Iraq e Israele che ha già, come prevedibile, condannato Ankara e gridato al rischio di una pulizia etnica da parte delle milizie turche e filo turche.
Un quadro così fortemente esplosivo dovrà necessariamente trovare una composizione nell’alveo della diplomazia all’interno della comunità internazionale.
L’Ue ha nuovamente dimostrato di essere marginale in politica estera non riuscendo compiutamente a parlare, e ancor più ad agire, in maniera unitaria. Pesa la non compiuta determinazione di una politica estera e di sicurezza comune e l’assenza di un esercito europeo da porre all’interno del quadro dell’Alleanza Atlantica nella cornice della NATO. E in questo caso specifico pesa anche la mancata risoluzione del problema legato al rimpatrio dei cosiddetti foreign fighters, i circa 2mila cittadini europei, combattenti dell’Isis, attualmente prigionieri nei campi curdi e quindi a rischio fuga e riorganizzazione.
È proprio la Nato, di cui la Turchia è componente, a poter rappresentare la soluzione alla situazione che si va determinando. Da più parti in queste ore è infatti stata richiesta una specifica convocazione del Consiglio Atlantico, anche per superare una fase di inerzia che ha contraddistinto questi primi giorni dall’avvio dell’offensiva turca. Le prossime ore saranno decisive per capire su quale strada si incamminerà la situazione al confine turco-siriano.
Mario Angiolillo
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