Oggi Benny Gantz verrà ufficialmente investito dal presidente di Israele, Ruben Rivlin, dell’incarico di formare un nuovo governo, dopo lo scadere del mandato già assegnato a Benjamin Netanyahu e conclusosi con un nulla di fatto.
Netanyahu aveva avuto la precedenza nell’assegnazione rispetto al suo rivale Gantz, a capo della coalizione di centro sinistra, avendo portato in dote rispetto al rivale un blocco di 55 parlamentari, compattamente costituitosi intorno alla sua persona a seguito delle elezioni del 17 settembre scorso (Likud: 32, Shas: 9, Giudaismo Unito nella Torah: 7 e Yamina: 7).
Benny Gantz può contare su un blocco di 54 parlamentari, tuttavia, nel suo caso, allargato anche ai parlamentari arabi (Blu e bianco: 33, i laburisti di Gesher: 6, Campo Democratico: 5 e infine 10 membri dei 13 che compongono la Lista Araba Unita).
Alla pari di Netanyahu anche quella di Gantz è una strada in salita. Il rifiuto del leader della coalizione Blu e Bianco di formare un governo di unità nazionale con Netanyahu, principalmente a causa delle accuse di abuso di ufficio e corruzione nei confronti del premier israeliano, ha costretto quest’ultimo a rimettere il suo mandato nelle mani di Rivlin.
Netanyahu si gioca la partita fondamentale e probabilmente finale della sua lunga carriera politica. Le audizioni preliminari dei suoi avvocati di fronte al procuratore generale dello Stato, Mandelblit sono appena cominciate e si protrarranno fino a dicembre. In base al loro esito, Mandelblit deciderà se rinviarlo a giudizio.
Nonostante questa spada di Damocle pendente sopra il proprio capo, Netanyahu è riuscito nell’impresa di compattare 55 parlamentari i quali hanno ribadito senza cedimenti di volerlo come capo del futuro governo.
Appare estremamente improbabile che Gantz riesca a rompere il blocco, essendo questa l’unica possibilità che ha di potere avere i numeri necessari per formare il prossimo governo. Come il suo predecessore, ha 28 giorni a disposizione per riuscirci.
Esterno ai due blocchi, l’ex ministro della Difesa del governo Netanyahu, Avigdor Lieberman, leader di Israele Casa Nostra, ha dichiarato esplicitamente la propria preferenza per un governo di larghe intese.
Ergendosi a campione di un ebraismo secolare, Lieberman è stato di fatto l’agente della crisi seguita alle elezioni del 9 aprile scorso che diedero a Netanyahu a una vittoria chiara sul rivale Gantz. La sua indisponibilità di restare all’interno di una coalizione con gli ultraortodossi nonostante ne avesse fatto parte precedentemente (si dimise da Ministro della Difesa il 14 novembre scorso), ha portato Israele alla seconda tornata elettorale.
Se anche Gantz, come Netanyahu, dovesse fallire nell’impresa, Israele sarebbe costretto, inevitabilmente, a tornare alle urne per la terza volta in un anno.
Niram Ferretti
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