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A grandi passi verso il no deal. E Johnson è il favorito alle elezioni.

Aggiornamento: 11 mar 2022

Gli oppositori della Brexit sono stati troppo lesti a stappare lo champagne. Il verdetto della Corte Suprema del Regno Unito che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della sospensione del Parlamento da parte di Boris Johnson è stato clamoroso ed enfatico. Ma i fondamentali della Brexit rimangono gli stessi. Al momento, Londra uscirà dall'Unione europea senza un accordo il 31 ottobre, se Bruxelles non accetterà di acconsentire ad una ulteriore proroga. Lo scenario hard Brexit è quanto mai plausibile. Nelle scorse settimane erano circolate le intenzioni di Emmanuel Macron, contrario a prolungare il processo di uscita; e di Viktor Orban, disposto a mettere il veto alla proroga sulla base di un accordo politico con Boris Johnson. Ad oggi nulla è cambiato. Senza l’unanimità degli Stati membri sull’estensione, la prevista uscita è inevitabile.


Prevedibilmente, dopo la sentenza della Corte suprema, sul Primo Ministro si è scatenata una bufera politica. Da quando è entrato in carica a luglio, ha perso la maggioranza a Westminster, 21 deputati hanno lasciato il gruppo parlamentare, suo fratello Jo si è dimesso dal governo, ed è andato sotto cinque volte al voto nella Camera dei Comuni. Gli è stata imposta la legge Benn, che gli impone di chiedere una proroga alla data di uscita se non raggiunge un accordo con l'Unione europea che possa essere approvato dal Parlamento entro il 19 ottobre. Infine la eclatante sconfitta a Middlesex Guildhall. Se per la maggior parte dei politici una tale sequenza di sciagure significherebbe la fine della corsa, la popolarità dell’ex Sindaco di Londra non accenna a scemare; anzi il contrario: BoJo appare sempre più favorito in caso di elezioni generali, sostenuto da un elettorato imbufalito per il tradimento della volontà referendaria, di cui il Primo Ministro si è fatto interprete.


A suo favore va detto che l’Avvocato Generale dello Stato Geoffrey Cox gli aveva rilasciato un parere secondo il quale l’esercizio del potere di sospensione, malgrado le circostanze, sarebbe stato legittimo. Inoltre, l’Alta Corte di Londra, pronunciandosi in primo grado aveva sentenziato che la prorogation è un atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. Il pronunciamento della Corte Suprema ha colto tutti di sorpresa, risultando in uno scrutinio nel merito della discrezionalità politica mai visto nel Regno Unito dai tempi della Magna Charta.


Anche l'ex Foreign Secretary Jeremy Hunt, che ha sfidato Johnson per la leadership Tory, è corso in suo soccorso. Parlando alla BBC, Hunt ha sostenuto che Boris ha il mandato politico di eseguire la Brexit e se l’uscita senza accordo è l'unico modo per eseguirla, il No Deal è politicamente giusto e giuridicamente perfetto. Hunt ha anche affermato che va riconosciuto al Primo Ministro il merito per il fatto che per la prima volta in due anni il Partito conservatore è posizionato per ottenere la maggioranza alle elezioni politiche. Questo è molto importante se si considera il caos della conferenza del partito laburista di questa settimana.


Jeremy Corbyn, infatti, ha usato il suo discorso alla conferenza Labour per ripetere il suo appello a Boris Johnson "non eletto" a dimettersi e diventare il Primo Ministro meno longevo nella storia britannica. Il leader laburista ha detto ai membri del partito che il Regno Unito si trova ad affrontare un "momento straordinario e precario" ed ha affermato che la crisi Brexit a Westminster "può essere risolta solo con un'elezione generale", tuttavia ha mantenuto la sua posizione secondo cui il paese dovrebbe andare alle urne, ma solo dopo che il 31 ottobre è stato impedito il No Deal. Per Corbyn insomma, è tempo di elezioni, ma non ancora.


A Palazzo Berlaymont hanno ben chiaro che la sentenza della Corte Suprema fa poca differenza per il negoziato in corso. Un accordo dipende ancora dal backstop in Irlanda. Ma se prima Boris Johnson aveva un’arma negoziale per confrontarsi con Dublino e Bruxelles, adesso non più. Boris inoltre non ha più lo spazio politico per fare concessioni negoziali. Di fronte alla prospettiva di elezioni anticipate, le quali si combatteranno ai due estremi (hard Brexit contro no Brexit), il Primo Ministro non può indebolire le sue credenziali Brexit. Così, mentre i colloqui sono ripresi, l’impressione è che quanto successo sia prodromico a qualcosa di ancora più dirompente.


Redazione Italia Atlantica

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